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Vecchio numero della collana “Segretissimo presenta”, da non confondere con la più recente testata omonima.

L’illustrazione di copertina è firmata da Karel Thole.

La scheda di Uruk:

Spie nello spazio, a cura di Remo Guerrini – Supplemento a Segretissimo n. 725 (20 ottobre 1977)
Incognita uomo (Who?, 1965) di Algis Budrys – Traduzione di Luciano Torri
A noi le stelle! (Agent of Terran Empire, 1965) di Poul Anderson – Traduzione di Carlo Brini
Ai margini della Galassia (The Still, Small Voice of Trumpets, 1968) di Lloyd Biggle jr. – Traduzione di Paulette Peroni (per gentile concessione della Editrice Nord)

La trama:

A differenza dei vari Asimov, Bester, Sheckley e di tutti gli altri maestri della science fiction che si sono cimentati nel giallo, ben pochi sono stati gli autori di fantascienza che hanno osato affrontare il terreno minato dello spionaggio, in un domani più o meno remoto. Comunque, in questo volume ci sono tre ottimi esempi di spy-story nello spazio, scelti secondo una scansione, per così dire, temporale. Il primo romanzo, Incognita uomo di Algis Budrys, si svolge in un futuro così prossimo da poter essere un Segretissimo pubblicato Ira una decina di anni: uno scienziato americano viene rapito dai russi e restituito, dopo una sorta di lavaggio del cervello, in un involucro d’acciaio, metà essere umano e metà robot. In A noi le stelle! di Poul Anderson spicca la figura di Sir Dominic Flandry, capitano dell’imperiale Servizio di Spionaggio Navale, che in nome della Terra e contro i cattivi gallinacci del cosmo, recita il ruolo eroico, e insieme caricaturale, di un James Bond dello spazio. La terza storia, Ai margini della Galassia di Lloyd Biggle jr., ha il pregio di aver creato la CIA dell’anno Tremila, l’ERI, che ha il compito di far scoppiare la rivoluzione sui pianeti retti da governi autoritari, in modo che, dopo, possano essere associati alla cosiddetta civiltà.

La Presentazione:

Il problema più grosso per un agente segreto è, si sa, la «copertura», l’identità dello schermo, la faccia ufficiale. Nella realtà, infatti, di Malko Linge, James Bond e OS 117 ce ne sono molto pochi. Gli altri, la maggioranza, sono i travet dello spionaggio, tutti agenti il cui problema è soprattutto quello della «copertura».
Ma come può «coprirsi» un agente segreto dello spazio, inviato in missione su un pianeta di gallinacci? Ecco uno dei tanti motivi per cui la
spy story si sposa con difficoltà alla fantascienza: un agente terrestre o terrigeno, inviato fra le stelle, sbatte inevitabilmente contro il muro della «copertura».
Gli scrittori di
science fiction sono indubbiamente gente di grande ingegno: estrapolano concetti astronomici, matematici, fisici… giocano con il tempo e lo spazio, immaginano terrificanti società future e, perfino, riscrivono la storia del passato. Eppure di fronte a una storia di spionaggio sono pochi quelli che hanno osato prendere la penna. Non è così per il romanzo giallo. Ce ne sono a dozzine, di racconti e storie polizieschi ambientati nel mondo della science fiction. Ne hanno scritto grandi autori come Asimov, Bester, Anderson, Sheckley e altri. Ma con la spy story sono andati piano: la spy story ha caratteristiche diverse dalla storia di fantascienza. Più ritmo. Più azione. Meno implicazioni scientifiche o filosofiche. Così i «grandi» della fantascienza di spionaggio non sono, in genere, i «grandi» della fantascienza classica. E non perché siano meno abili: semplicemente perché sono diversi. E hanno osato affrontare il terreno minato dello spionaggio, in un domani più o meno remoto.
In questo volume ci sono tre ottimi esempi di spy story nello spazio. Li abbiamo scelti secondo una scansione, per così dire, temporale.
La prima storia, «Incognita uomo» di Algis Budrys, si svolge in un futuro così prossimo da poterlo considerare dietro l’angolo. È, in fondo, un romanzo che Segretissimo potrebbe pubblicare fra dieci anni, non di più: la storia di uno scienziato americano vittima d’un misterioso incidente, rapito dal servizio segreto sovietico, e restituito, dopo una sorta di lavaggio del cervello. Ma restituito «come»? Nell’involucro d’acciaio, un semi-uomo, metà essere umano e metà robot, c’è un agente segreto sovietico inviato nel mondo occidentale? O realmente la larva, i resti dello scienziato d’origine? Scoprirlo sarà compito d’un agente dell’FBI.
Più in là, molto più in là, si colloca l’avventura di «A noi le stelle!», di Poul Anderson. Anderson, 51 anni, laureato in fisica, fiato negli USA da genitori scandinavi, scrittore dal ’47, è uno dei «grandi» della fantascienza d’avventura. Fino a oggi ha pubblicato 50 libri e 250 racconti. Dal nostro punto di vista, però, ha il pregio d’aver inventato «sir» Dominio Flandry, capitano dell’imperiale Servizio di Spionaggio Navale. In nome della Terra e contro i cattivi gallinacci del cosmo, Flandry recita il ruolo eroico e, insieme, caricaturale, di un James Bond dello spazio: sta a metà fra l’avventura fantascientifica vera e propria e la presa in giro della
spy story tradizionale.
Anche Lloyd Biggle jr. è uno scrittore d’avventura, un artigiano di buon livello. In «Ai margini della Galassia» ha creato la CIA dell’anno Tremila, o suppergiù. L’ERI, infatti, è l’ente che cura le Relazioni interplanetarie per la Federazione terrestre, con un compito specifico: far scoppiare la rivoluzione sui pianeti retti da governi autoritari, in modo che dopo, a democrazia conquistata, possano essere associati alla cosiddetta civiltà. Anche in questo romanzo, originalissimo per alcuni versi, c’è l’eroe, il superman: si chiama Jef Forzon, e non adopera i muscoli ma la testa. Come riuscirà a condurre il pianeta Gurnil alla democrazia non lo anticipiamo: sarà una sorpresa.

r. g.

L’incipit di “Incognita uomo”:

Era notte fonda. Il vento soffiava dalla parte del fiume, sibilando tra le strutture d’acciaio dei ponti, e le banderuole che si trovavano sui tetti dei vecchi edifici oscuri indicavano il nord.
Il sergente della Polizia Militare che si trovava in servizio aveva schierato il suo plotone sui due lati della strada sassosa. La strada era bloccata da una muraglia dall’aria antica, nella quale si apriva un passaggio, chiuso in quel momento da sbarre di legno. I fari delle jeep della Polizia Militare e della guida interna del Governo Alleato illuminavano gli elmetti a prova di pallottola dei soldati in attesa. Sopra di loro si trovava un cartello:

STATE ABBANDONANDO LA ZONA ALLEATA
STATE ENTRANDO NELLA ZONA SOCIALISTA SOVIETICA

All’interno dell’automobile Shawn Rogers era seduto, in attesa, in compagnia di un rappresentante del Ministero degli Esteri degli Alleati. Rogers era a capo della Sicurezza, in quel settore della Zona di Frontiera Centro-Europea amministrato dagli Alleati. Stava aspettando pazientemente, e i suoi occhi verdi erano fissi nelle tenebre.
Il rappresentante del Ministero degli Esteri diede una occhiata all’orologio d’oro che portava al polso.
«Saranno qui, con lui, entro un minuto.»

L’incipit di “A noi le stelle!”:

Ruethen di Longamano si era compiaciuto di dare un ballo per i suoi nemici alla Luna di Cristallo. Sapeva che sarebbero venuti: l’orgoglio di razza aveva lasciato i terrestri, mentre la necessità di apparire ben nutriti e sofisticati era cresciuta in proporzione contraria. Il fatto che le astronavi si cacciassero reciprocamente e si combattessero, a cinquanta anni luce oltre Antares, rendeva una pressoché impossibile scortesia rifiutare un invito da parte della rappresentanza merseiana. Inoltre, c’era sempre il modo di sentirsi piacevolmente odioso e sempre sulla soglia del pericolo.
Il capitano Sir Dominic Flandry, dell’imperiale Servizio di Spionaggio Navale, si permise una lieve lamentela. «Non è che io rifiuti i liquori di alcuno» disse «e Ruethen, per i suoi pasti all’umana, ha uno chef per cui varrebbe la pena di fare una guerra. Credevo però di essere in licenza.»
«Lo siete, infatti» rispose Diana Vinogradov, Nobildonna Guardiana del Mare Crisium. «Soltanto che io vi ho visto prima.»
Flandry sorrise e fece scivolare un braccio attorno alle spalle della donna. Si sentiva piuttosto sicuro che avrebbe finito per vincere la sua scommessa con Ivar del Bruno. Si lasciarono andare sul divano e Flandry spense la luce.

L’incipit di “Ai margini della Galassia”:

Alle sue spalle una porta si aprì e si richiuse. Jef Forzon continuò a guardare i quadri. Coprivano tutta una parete della stanza, dal pavimento al soffitto.
Quadri stupendi.
La prima cosa da fare, pensò Forzon, era l’analisi chimica di quei colori. Non aveva mai visto niente di simile. Colori incantevoli, d’una materia sorprendente. Adoperati da grandi artisti (e la maggior parte dei quadri esposti era l’opera di grandi artisti) producevano un effetto dimensionale che gli dava il capogiro.
Non faceva meraviglia che l’Ente Relazioni Interplanetarie avesse richiesto l’invio urgente di un ufficiale della Sovrintendenza Culturale! Degli impiegati che non sapevano nemmeno pitturare bene le lettere delle scritte sulle porte e che sceglievano, per gli uffici, dei colori tutt’al più adatti alle tenebre di un mausoleo, non erano certamente tagliati per occuparsi di opere d’arte. Non sapevano nemmeno appendere un quadro.
Il comunicatore interno gracchiò. L’impiegata dell’ingresso disse freddamente:
«Ora il Coordinatore può ricevervi, signore.»
Forzon si alzò, indugiò ancora un attimo per un’ultima intensa occhiata ai dipinti, e la seguì. Amava profondamente il suo lavoro ma odiava le formalità burocratiche da superare per poterlo svolgere. Odiava pure le belle ragazze con uniformi maschili che sfoggiavano sorrisi di superiorità.

L.

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