Da Ilaria la bancarellaria arriva un numero d’annata di “Segretissimo” (Mondadori) dell’epoca della gestione Laura Grimaldi.
La copertina è come di consueto firmata da Carlo Jacono.
La scheda di Uruk:
268. Quel tesoro di Krone (The Munich Involvement, 1968) di Frederic Mullally [16 gennaio 1969] Traduzione di Ugo Carrega
Inoltre contiene:
– Missione Krupp, di Paolo Roversi
– Lo scandalo Arguedas, di Robert Hartman
– Il professore di Metz, di Paul Simard
La trama:
Monaco è una città conosciuta: per la sua allegra «Oktoberfest», per il «Putsch» che vide la nascita del nazismo e per molti altri motivi. Bob Sullivan, il giornalista inglese protagonista di questa «spy-story», sa tutto di Monaco: fa parte del suo mestiere e della sua cultura. L’ideologia degli uomini del nuovo corso nazista rimane, cupa e ossessiva, la stessa degli anni Trenta, ma ora mancano i fondi per portare avanti il discorso politico. Tuttavia il tesoro da recuperare esiste: si tratta di quello abbandonato dal fantomatico Martin Bormann, una delle tante anime nere di Hitler. La «chiave» per arrivare all’oro è nelle mani, di una ragazza: Lise, che cede alle lusinghe di un «amico Fritz» che non ha niente di lirico: si tratta di Fritz Krone, giovane leader dell’RDP. un uomo la cui visione del mondo è ancorata ai vecchi miti, un uomo teso a operare un macabro «revival» nazista. Frederic Mullally gioca le sue carte con rara competenza ed efficacia, usando soprattutto molta intelligenza e creando un’atmosfera tesa e vera, di una malinconia inconsueta.
L’incipit:
Adesso distingueva nitidamente le figure attorno al suo letto. Cinque individui giganteschi ammantati nei costumi del Ku-Klux-Klan. Ma seppure riusciva a distinguerli chiaramente, aveva il cervello ancora troppo annebbiato dal sonnifero perché potesse impartire ordini precisi ai suoi arti intorpiditi. Il più alto dei cinque allungò le mani e strappò via le coperte dal letto.
— Alzati, Sullivan!
Riuscì faticosamente a sedersi sulla sponda del letto. Gli girava la testa. Si afferrò con entrambe le mani al materasso per non cadere e chiuse gli occhi.
— Aiutatelo a vestirsi!
Sentì le loro mani che lo tiravan su e gli mettevano addosso i vestiti e poi lo facevano sedere su di una poltrona per mettergli le scarpe. S’arrischiò ad aprire di nuovo gli occhi. Con la bocca impastata gli riuscì di mormorare:
— Cosa volete?
Gli parve di udire una risata soffocata giungere da sotto il cappuccio di quello che stava allacciandogli le scarpe.
— Lo saprai presto — rispose il più alto. — La giacca… Ecco fatto. Mettetelo in piedi. Il cappuccio…
Glielo infilarono in testa dalle spalle impedendogli di vedere qualsiasi cosa. Allungò una mano per toglierselo ma furono pronti a impedirglielo. Lui non aveva forza per opporre resistenza.
— Bene. Andiamo!
Lo tenevano fra di loro guidandolo; non aveva da far altro che muovere le gambe un passo dopo l’altro avanzando nel buio più totale. Sentì la porta della sua stanza sbattere alle sue spalle e poi cominciò a contare i passi fino alla scala principale… diciassette, diciotto, diciannove… Inciampò al primo gradino ma le mani dei suoi accompagnatori furono pronte a sostenerlo. Un pianerottolo. Un’altra rampa di scale. Un altro pianerottolo. Altri gradini. Infine si trovò a camminare sul piano con la sensazione di uno spazio libero attorno a sé; una svolta brusca a destra. Udì, o ebbe la sensazione di udire, come il ronzio di un alveare che smetteva all’improvviso. La sua scorta lo fece fermare, gli lasciò andare le braccia. La voce del più alto giunse brusca alle sue spalle, eccitata, e Sullivan sapeva quel che l’aspettava.
— Togliti il cappuccio!
Alzò le mani, strappò via il cappuccio sbattendo le palpebre alla luce violenta che improvvisamente gli colpì gli occhi. Il brusio delle voci, ora, aveva ripreso. Erano tutti attorno a lui, le bocche rosse spalancate, le vene del collo gonfie e pulsanti; mezzi volti coperti da maschere rosse, gialle, verdi, nere…
— “Willkommen!”
— “Altes Arscloch!”
Una tromba prese a suonare squillante subito seguita da un’intera orchestra; la folla si mosse mescolandosi in un caleidoscopio di costumi e colori. Fuori da essa emerse Oskar Bliemund in uniforme da moschettiere, la maschera alzata, il volto rosso per il gran ridere.
— Benvenuto a Monaco, Bob! Vieni che beviamo qualcosa!
L.
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