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Prima di darlo via schedo questo numero de “Il Giallo Mondadori“, nell’epoca della direzione di Oreste del Buono.

L’illustrazione di copertina è firmata, come sempre, da Carlo Jacono.

La scheda di Uruk:

1655. Un uomo in mare per Travis McGee [Travis McGee 17] (The Empty Copper Sea, 1978) di John D. MacDonald [19 ottobre 1980] Traduzione di Maria Luisa Vesentini Ottolenghi
Inoltre contiene il racconto:
Così è la morte (This is Death, da “EQMM”, novembre 1978) di Donald E. Westlake

La trama:

Quando Hub Lawless cade in mare dal fuoribordo al largo della costa della Florida, qualcuno dice che è stata una disgrazia e che Lawless è morto annegato. Nessuno, però, ci crede veramente. Non ci crede Travis McGee, il cui amico Van Harder, skipper della barca di Hub, viene ritenuto responsabile dell’incidente. E tanto meno la compagnia di assicurazioni con la quale Lawless aveva stipulato una polizza per due milioni di dollari. E infine neppure Julie, moglie di Hub, convinta che suo marito sia morto, ma non certo per annegamento. McGee e il suo amico Meyer si recano a Timber Bay dove c’è gente legata al caso Lawless che ha i nervi a fior di pelle. Attento McGee. Attento a Billy Jean Bailey, pianista al Western Sky Lounge, a Dee Gee Walloway, a John Tuckerman e a sua sorella Gretel. Attento poi a quella foto che un anonimo ha spedito allo sceriffo Boggs con su Hub Lawless vivo e «asciutto» ripreso mentre sta bevendo tranquillamente una birra in Messico.

L’incipit:

In una calda e luminosa mattina di maggio, Van Harder salì a bordo della “Busted Flush”. La mia casa galleggiante era ai soliti ormeggi a Bahia Mar, Fort Lauderdale, e io in quel momento ero in preda a uno dei miei periodici assalti di energia che di solito hanno origine della cattiva coscienza. Uno è convinto di mantenere la sua casa galleggiante e il suo gommone efficienti secondo tutti i canoni del codice marinaro, tiene d’occhio le cime, mantiene in ordine la sentina, le parti cromate e tutto il resto, e poi improvvisamente tutto comincia a scricchiolare, a schiodarsi: le tavole fanno acqua e il motore pare che stia per esalare l’ultimo respiro. Ma il codice marinaro deve essere stato scritto per un clima meno infernale di quello della Florida che De Soto, scrivendo al re di Spagna, definiva “una striscia di sabbia inabitabile”, anche se, a dire il vero, a quel tempo era abitata da numerose tribù indiane.
A questo punto, o uno comincia a darsi da fare, o decide di andare a vivere sulla terraferma come qualsiasi persona di buon senso. A quattro gambe, procedendo lentamente, stavo sostituendo i montanti della ringhiera lungo i tre lati del ponte servendomi di un trapano e di un cacciavite elettrico per avvitare le quattro grosse viti che tengono ferma la base in acciaio di ogni montante. Le ginocchia mi facevano male, il polso era indolenzito e un rigagnolo di sudore mi colava dal naso sul mento. Poiché indossavo soltanto un vecchio paio di calzoncini da tennis, sentivo il sole bruciare sulla mia povera, stanca, schiena abbronzata. Erano almeno sette anni che non vedevo Van Harder. Per lungo tempo era stato il proprietario di una barca, la “Queen Bee III”, che affittava ai turisti amanti della pesca. Poiché era un buon marinaio, e sapeva dove andare a cercare il pesce, non aveva mai avuto difficoltà a trovare clienti. Lo conosco da molto tempo e so che in passato ha avuto dei momenti difficili, ma essendo un uomo parco e avveduto, aveva messo da parte tutti i suoi risparmi e infine era riuscito a vendere a Rance Fazzo la “Queen Bee” e a procurarsi, insieme a un grosso debito, una bella barca per la pesca degli scampi. Dopo di che si era trasferito sull’altra costa della penisola. Era un uomo di poche parole, e non mi avrebbe certo stordito con le sue chiacchiere.
Finii di avvitare la base del montante, mi alzai faticosamente, e, dopo essermi passatp un asciugamano sulla faccia sudata, andai a sedermi vicino a lui su uno idei seggiolini girevoli davanti al cruscotto dei comandi, per osservare i negozi e le torri di Bahia Mar all’ombra di una tenda.

L’autore:

Definito da Anthony Boucher, il critico letterario che lo ha sempre seguito sin dall’inizio della sua carriera, «il John O’Hara del giallo», e lodato dall’inglese Julian Symons, il grande esperto di letteratura poliziesca, «per l’abilità degli intrecci», John D(ann) MacDonald è nato a Sharon, in Pennsylvania, nel 1916. Dopo aver conseguito la laurea alla Syracuse University, ha preso una specializzazione in Economia e Finanza alla Harvard School. Ma il mondo degli affari non gli era congeniale e non riuscì a mietere alcun successo. Dal 1940 al 1946 ha prestato servizio nell’esercito, combattendo in Cina, Birmania e India. Nel 1944, quando era ancora in servizio, scrisse la sua prima storia: Interlude in India che fu venduta allo «Story Magazine».

Tornato negli Stati Uniti continuò a scrivere e pubblicò diversi racconti di fantascienza, di fantasy e mystery su alcune riviste popolari, sia con il proprio nome sia sotto diversi pseudonimi: Scott O’Hara, John Lane, Peter Reed, John Wade Farrell, Henry Rieser e Robert Henry. Nel 1949 si trasferì in Florida, dove finalmente riuscì a dedicarsi alle sue grandi passioni: la barca a vela e il mare che fanno da sfondo a molti dei suoi romanzi. Nel 1950 pubblicò il primo romanzo giallo: The brass cupcake. Fu l’inizio di quella lunga serie di romanzi che hanno fatto di lui uno degli autori più famosi d’America.

Tutti i suoi romanzi sono ambientati in Florida. Personaggio ricorrente è Travis MacGee, un investigatore un po’ particolare, specializzato in recuperi di beni sommersi o comunque scomparsi. MacGee è un uomo amareggiato, triste, che crede ormai in poche cose e in pochissime persone. È stato definito il Simon Templar degli anni Sessanta, e la sua «epopea» è narrata in una ventina di libri.
In altri romanzi, invece, MacDonald ha inserito le proprie cognizioni nel campo dell’economia e della finanza e le esperienze vissute in prima persona nel mondo degli affari. A Key to the Suite (1962) ci offre una desolata immagine di un albergo di Miami dove si svolge una convention.

Altra specialità di MacDonald sono i gialli psicologici. The Executioner (1958), il migliore tra questi, descrive il processo psicologico mediante il quale un uomo tranquillo si trasforma in potenziale assassino quando la sua famiglia viene minacciata da uno psicopatico che lui un tempo aveva mandato in prigione. In The last one left (1967), selezionato per il premio Edgar dei Mystery Writers of America, vengono esaminati i traumi psicofisici dei profughi dalla Cuba di Castro.

Nel 1972 i Mystery Writers of America hanno conferito a MacDonald il «Grand Master Award» per il suo costante contributo alla narrativa poliziesca. MacDonald aveva già ricevuto il «Grand Prix de la litérature policière» francese nel 1964 e il «Benjamin Franklin Award» per il miglior racconto americano del 1955. Da The Executioner, nel 1962, è stato ricavato il film Cape Fear, della Universal, con Gregory Peck, Robert Mitchum, Martin Balsam, Telly Savalas.

L.

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