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Prima di darlo via, schedo questo vecchio numero di “Segretissimo” (Mondadori) dell’èra di Laura Grimaldi.

L’illustrazione è firmata dal consueto Carlo Jacono.

La scheda di Uruk:

1053. Fattore ereditario [NUMERO SPECIALE] (The Dancing Men, 1985) di Duncan Kyle [7 settembre 1986] Traduzione di Lidia Perria
Inoltre contiene il saggio: [Top Secret] Duncan Kyle. Quando il thriller si tinge di avventura, di A.F.
Inoltre contiene i racconti:
Questione di metodo, di Carmen Iarrera
Storia vera di una spia reale, di Anna Maria Fontebasso

La trama:

Dopo aver doverosamente dato il giusto riconoscimento del Numero Oro ai grandi della spy-story (da Evelyn Anthony a Stephen Hunter, da Ross Thomas a Elleston Trevor), questa volta Segretissimo intende premiare i suoi lettori con un romanzo splendido, di quel gran maestro dello spionaggio che è Duncan Kyle. Sono assicurati l’avventura e il divertimento, e l’intelligenza delle situazioni. Per diventare presidenti degli Stati Uniti occorrono molte doti personali, ma anche un pedigree ineccepibile. Se poi fra gli antenati c’è qualcuno che ha compiuto particolari imprese, be’, la cosa può anche tornare utile. Lo studioso Warwick Todd si vede chiedere di svolgere una ricerca su Joseph P. Connor, un irlandese arruolatosi nell’esercito inglese nel 1870. Ma Todd non sa che Connor era nonno di un attuale candidato alla presidenza. E così, va avanti tranquillamente nel suo scavare nella vita del vecchio irlandese, senza rendersi conto che sta per scatenare una sorta di guerra d’annientamento.

L’incipit:

Molto tempo dopo, quando c’era ormai tutto il tempo del mondo, Zee Quist avrebbe ripensato, a volte, a come era cominciata tutta la storia e a quando si erano manifestati i primi sintomi. Forse con qualche anonimo vichingo, balzato a terra da una delle lunghe navi per darsi al saccheggio e allo stupro su una costa inglese da tempo deserta? Oppure con un valoroso e onesto castellano del Suffolk, che guidava la sua fedele banda nei disagi della ribellione al re? O forse era stato il soldataccio brutale di un paio di secoli dopo? Chissà. Ma una volta conclusa la vicenda, quelli erano semplici argomenti di riflessione.
Ma non c’erano dubbi sul momento in cui si era trovata coinvolta di persona. Stava finendo di leggere la domanda di impiego di Hamilton, quando il telefono privato color miele emise il suo trillo garbato. Lei tese lentamente la mano verso l’apparecchio, ancora intenta ad assimilare la frase finale di Hamilton. — Pronto.
— Zee? C’è qualcuno con te?
Lei rispose sorridendo: — Neanche un’anima — e poi smise di sorridere, perché con la fantasia poteva vedere quel dannato sorriso e odiava il modo in cui le incurvava gli angoli della bocca all’ingiù.
Questa era una cosa recente, vecchia appena di un paio di mesi: un ennesimo piccolo segno di decadenza, un altro fascio di muscoli che sfuggivano al suo controllo.
— Ho ricevuto una telefonata, Zee, circa mezz’ora fa. È cominciata!
— Naturale — ribatté lei. — Doveva succedere. Chi è stato? L’ex presidente in persona?
— Il presidente nazionale del partito. Ha detto…
Lei lo interruppe: — …che saresti un pazzo a non presentarti candidato, vero? Ha ragione.
— Ma sono un senatore giovanissimo, Zee! Meno di quattro anni in parlamento.
— Come Jack Kennedy. Lui ha vinto. Tu devi presentarti.
— Zee.
— Che c’è?
— Puoi occupartene per me? Come ti senti?
— Indolenzita per il troppo movimento — ribatté lei, la voce incrinata da una collera improvvisa. La dominò in fretta. — Scusami, John, non intendevo…
Ora fu lui a interromperla. — Speroni capire sempre, Zee.

L.

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