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Prima di darlo via, schedo questo numero d’anata della collana “Il Giallo Mondadori” dell’epoca di Laura Grimaldi.

L’illustrazione di copertina è firmata dal consueto Carlo Jacono.

La scheda di Uruk:

1944. Nella buona e nella cattiva sorte (Pour le meilleur et pour le pire, 1985) di Louis C. Thomas [4 maggio 1986] Traduzione di Sarah Cantoni

La trama:

Hervé è un uomo al quale la vita non ha mai negato niente. Il suo unico problema è di trovarsi sul banco degli accusati per rispondere del’omicidio della sorella Anne-Marie, che dalla morte dei genitori aveva vegliato su di lui con affetto forse un po’ eccessivo. Convinto di aver trovato l’amore, Hervé ha sposato la bella Catherine, ma poiché Anne-Marie non accettava altre presenze femminili sotto il suo tetto, la giovane moglie è stata costretta a porre un aut aut: o fuori lei, o fuori Anne-Marie. Ma Hervé non ha avuto il tempo di prendere una decisione, perché Catherine è scomparsa. Sconvolto dall’assenza della moglie, una sera Hervé stava addirittura per suicidarsi, quando un uomo è entrato furtivamente nella sua casa… Louis C. Thomas, che ha vinto due premi prestigiosi come il Quai-des-Orfèvres e il Mystère de la Critique, è autore di molti romanzi e di molte commedie di successo. Con questo giallo, si è guadagnato la definizione di Maître de la littérature policière. Quale scelta migliore, per la Serie Oro?

L’incipit:

Varie volte, a proposito di dissertazioni sulla giustizia o sulla pena di morte, Hervé ha condotto i suoi allievi dell’ultimo anno di liceo a delle udienze in Corte d’assise. Il cerimoniale gli è dunque familiare. Ma, in quei casi, Hervé era dall’altra parte, dalla parte del pubblico. Visto dal banco degli imputati, è tutta un’altra cosa.
Isolata al centro dell’aula, la sbarra dei testimoni assume un significato altamente simbolico. “Giurate di dire la verità, nient’altro che la verità…”. Chi, oggi può avere la certezza di conoscerla, questa verità? Certo non il sostituto procuratore generale, impenetrabile nella sua toga rossa, né il presidente della Corte e i suoi due giudici a latere, occupati in misteriosi conciliaboli, né i nove giurati che sembrano intirizziti sul loro banco. E nemmeno l’avvocato Mousseau, il giovanissimo difensore, la cui nuca magra e ancora infantile affonda nelle pieghe della sua toga nera.
— Hervé Savenay, alzatevi.
Nel silenzio religioso sceso dopo la lettura dell’atto d’accusa, la voce del presidente stride come un congegno male oliato. Tuttavia ha una faccia simpatica, questo presidente: due occhi vivaci e mobili in un viso rotondo, quasi paffuto. Ogni volta che apre la bocca, il suo doppio mento si schiaccia sulle facciole della toga.
— Hervé Savenay — dice col tono monotono di chi recita per la millesima volta una formula tradizionale. — Voi siete stato raggiunto da mandato di cattura il dodici luglio di quest’anno e vi trovate da tale data in detenzione cautelare. Precedentemente abitavate a Saint-Cloud, al numero quattordici Avenue Geslin, ed eravate professore di filosofia nell’istituto Saint-Alphonse de Liguori a Versailles. Avete ventinove anni, siete incensurato. Comparite davanti a questa Corte d’assise sotto i capi d’accusa dei quali è stata data lettura e siete passibile della pena di morte.
Hervé non trasale. Ha superato lo stadio delle emozioni facili, perlomeno di quelle che considera tali.
— Sarete giudicato oggi. Durante tutta la durata delle udienze potrete esprimervi liberamente. Se non siete d’accordo con quanto sarà detto da me o da uno dei testimoni, è vostro diritto intervenire in qualsiasi momento. Avete capito bene?
— Sì, signor presidente.
— Potete sedervi.

L.

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