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Un romanzo d’annata nella mitica collana “I Libri Pocket” (Longanesi).

La scheda di Uruk:

563. Angelo posseduto (Angel Possessed, 1974) di J.C. Conaway [11 maggio 1976] Traduzione di Ines Bellei

La trama:

Prima che le fiamme ponessero fine alla sua esistenza ricca solo di sregolatezze e passioni morbose, la proprietaria del castello di Cardiff, in Giamaica, nel secolo scorso giurò di ritornare un giorno sul luogo impossessandosi del corpo di qualcun’altra. Le sue parole si trasformarono con il tempo in una leggenda locale. Angel pensava che queste storie di superstizione fossero raccontate solo per impaurire e interessare i turisti. Non credeva né nei riti magici, nel voodoo, né alle vecchie maledizioni, ma, quando insieme al giovane marito, prese possesso del castello e per chilometri si udì il rullo dei tamburi, un terribile mutamento cominciò a insinuarsi nel suo carattere: gli indigeni pensavano che la giovane donna fosse posseduta. Naturalmente si trattava di una sciocchezza. Oppure no?

L’incipit:

Estate 1951. Come giunse in prossimità della montagna, il vecchio e malandato torpedone iniziò ad arrancare faticosamente. All’interno il caldo era insopportabile e i passeggeri, una ventina di turisti inglesi, erano sudati e nervosi.
La guida, un negro giamaicano di bell’aspetto e di nome Paul St. Lue, si sforzava di mantenere il suo affabile sorriso nonostante innumerevoli gocce di sudore gli colassero sul petto inumidendogli la camicia. In cuor suo maledisse il caldo improvviso, il suo lavoro e i turisti. Grazie a Dio, pensò, questa è l’ultima fermata. Poi avrebbe riaccompagnato i turisti in un albergo con aria condizionata e si sarebbe rilassato sorseggiando uno… e magari anche due cocktail ghiacciati. Diede una rapida occhiata alle sue spalle. La maggior parte dei passeggeri erano sulla cinquantina, se non oltre, decisamente disinteressati al folklore e ai panorami della Giamaica, ma rassegnati per il fatto che l’escursione era compresa nel prezzo del viaggio organizzato. Per evitare i loro sguardi Paul si abbassò e guardò fuori del finestrino: la vegetazione, solitamente lussureggiante, cominciava a dare segni di siccità.
L’autista cambiò marcia e l’autopullman lasciò la ripida strada di montagna per immettersi in un largo piazzale.
Una voce stridula all’improvviso chiese: «Ci vuole ancora molto?»
«Hmm?» fece Paul, girandosi.
«Ho detto se ci vuole ancora molto per arrivare a quel dannato castello.»
Paul fissò l’uomo, il cui viso gli ricordava un pezzo di pasta di pane lievitata, e con un largo sorriso rispose: «Siamo arrivati».

L.

– Altri Longanesi dell’epoca: