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Un saggio d’annata nella mitica collana “I Libri Pocket” (Longanesi).

La scheda di Uruk:

549. Nel mondo allucinante degli Etruschi (1976) di Mario Signorelli [3 febbraio 1976]

La trama:

Gli stessi Etruschi in qualità di perispiriti hanno guidato l’autore nelle sue ricerche, che l’hanno portato alla scoperta dell’area archeologica del Riello – Macchia Grande, nei pressi dell’attuale Viterbo.
Il libro nella prima parte è una descrizione accurata ed esaltante dei luoghi dove Mario Signorelli ha identificato le aree sacre, le strade e gli edifici di carattere pubblico. Attraverso l’analisi dei luoghi scoperti, l’autore elabora man mano una sua teoria del mondo degli Etruschi: questi si sarebbero stanziati in una zona già abitata da popolazioni del periodo neolitico, e una delle ragioni che avrebbero spinto i Lucumoni (le massime autorità religiose) a scegliere come sede stabile la zona intorno a Viterbo sarebbe stata la presenza di sorgenti termali, di supposta capacità curativa. Nella seconda parte l’autore rivive stupefacenti esperienze, rievoca apparizioni, fenomeni metapsichici, che gli rivelano le antiche divinità di questo popolo, quasi sconosciuto nelle sue espressioni artistiche, culturali e religiose. Mario Signorelli è nato a Viterbo nel 1905 da nobile famiglia discendente in linea diretta dal celebre pittore Luca Signorelli. Diplomato presso l’Accademia di Santa Cecilia, ha pubblicato nel 1925 su Musica d’Oggi uno studio sulla musica degli Etruschi. Dal 1964 si dedica esclusivamente a studi e a ricerche archeologiche. Sue pubblicazioni su questo argomento sono: Sui sentieri dei Lucumoni etruschi e Storia degli Etruschi.

La Prefazione:

Il libro di Mario Signorelli Nel mondo allucinante degli Etruschi porterà il lettore a prendere contatto con l’archeologia in modo inconsueto e diverso.
Fino ad oggi l’archeologia tradizionale ci presenta e ci descrive i risultati di ricerche positivistiche che partono normalmente da tracce rilevate su documenti preesistenti, oppure che prendono l’avvio da un reperto casuale.
I ritrovamenti archeologici e la loro collocazione nel tempo storico e in un determinato tessuto culturale dipendono da pochi specialisti, i quali, analizzando i materiali reperiti, rifacendosi alla storia convenzionale e ad eventuali leggende, interpretano quella testimonianza di un tempo remoto attraverso la logica del tempo presente, giudicandola cioè da una prospettiva radicalmente mutata rispetto a quella a cui appartiene il reperto.
Questa formula è la sola ad essere ufficialmente vagliata e riconosciuta come scientifica, giacché il funzionamento di eventuali altri sensi oltre a quei cinque più appariscenti sui quali l’uomo si è fissato come sulla guida più sicura per lui nel mondo della materia, non è né ammesso né preso in considerazione.
Al contrario il libro di Mario Signorelli ci pone di fronte ad una diversa realtà archeologica, scaturita dalla sua intuizione medianica, che non sarebbe altro che il funzionamento di un (ben reale) sesto senso. Nel portare alla luce un complesso di scavi che si devono ritenere determinanti per una migliore conoscenza del popolo etrusco e la loro straordinaria civiltà, l’autore, durante le sue esplorazioni nei labirintici cunicoli ipogei, si sentiva investito da un’energia a lui fino a quel momento sconosciuta e da influssi che misteriosamente si traducevano nella sua mente in parole e immagini, o come oggi si suol dire, in «informazioni».
Da questo momento ebbe inizio per lui una forma di ricerca indotta, che lasciava dietro di sé per sempre il modulo deduttivo della ricerca accademica, fino allora stentatamente seguito.
Le informazioni che Mario Signorelli in tal modo racco- glie durante le sue permanenze nei luoghi sotterranei (mai violati da un essere vivente da quando gli Etruschi li abbandonarono), in intimo contatto con quelle rocce, con quegli spazi imbevuti e saturi del fluido misterioso di atti, pensieri, presenze, lì vissuti migliaia di anni fa, acquistano a poco a poco chiarezza, assumono vòlti e forme, prendono nomi e significati precisi, collocabili perfettamente nella rozza trama dei dati puramente archeologici raccolti in precedenza.
Ma è soprattutto l’interpretazione che ora appare sconvolta e che costringe a rivedere tutte le conclusioni escogitate dal «senno di poi» di storici frettolosi o addirittura bugiardi (come certi romani interessati a far risplendere il proprio operato) e di archeologi immersi in un’altra realtà, «inquinati» da un’altra, contrapposta mentalità, profondamente estranea a quella arcaicamente magica-religiosa del popolo etrusco.
Di fronte al dubbio che può sorgere in ognuno di noi leggendo il racconto strano e affascinante di Mario Signorelli sul mondo degli Etruschi nel quale egli si è calato fino a identificarsi completamente, non ci resta che tener sospeso ogni giudizio definitivo in attesa che il tempo, con il suo apporto di nuove conoscenze e tecniche di ricerca, renda giustizia sui pareri contrastanti di oggi.

Lelio Galateri di Genola

L’incipit:

I miei amici Etruschi

«Come ha fatto, in un luogo ignorato dalle mappe archeologiche, a rinvenire così vasto complesso, che si estende per chilometri, ove si profila il perimetro di una strana città di estremo arcaismo, unica al mondo, che nessuno poteva ieri sognare di porre in luce, né oggi osare di mettere in dubbio?» Questa insistente domanda rivoltami da studiosi e da giornalisti riassume l’enigma di oltre sei anni di ricerche, alle quali mi sono dedicato con ferma convinzione: da quando, il 14 novembre 1964, fui captato da forze extra-umane, mentre ero intento a esplorare, con rischio della vita, il meandro ipogeo del Riello, intatto a poche centinaia di metri dall’asfalto viterbese.
Questo libro vuole essere estremamente chiaro, nella comprensibilità, per qualsiasi categoria di lettori.
Da tempo immemorabile i testi sacrali di ogni popolo fanno cenno a esseri misteriosi (chiamati angeli o arcangeli o geni o in modi diversi) i quali servirebbero da spola tra la sfera divina e quella umana: per completarne gli intimi rapporti, in gran parte ancora sconosciuti. Il che è tema di una scienza positiva, detta Metapsichica.
Se nessuno, nel corso di 2200 anni, è riuscito a scoprire l’apparato vascolare della Confederazione Etrusca, basata su 12 Lucumonie periferiche (di cui si conoscevano, prima di me, solo i complessi sepolcrali dell’ultima epoca — quella Neo-Etrusca — decorrente dal VII secolo avanti Cristo) ciò si deve a due ragioni fondamentali: l’ermetico occultamento di ogni entrata, all’atto di abbandonare il complesso sacrale; la cremazione, con conseguente dispersione delle ceneri, praticata nel periodo proto-etrusco, onde mantenere in modo assoluto il blocco dei segreti confederali.
Ed ecco nel binomio topografico Riello-Macchia Grande (nei pressi dell’attuale Viterbo) svilupparsi opere in gran parte sotterranee, comunicanti tra di loro senza interruzione, tali da far sbarrare gli occhi degli attoniti visitatori.
Prima di me, lo si apprende dalla descrizione cronologica degli scavi, non si vedeva nulla: solo costoni di tufo, ammaritati da povere erbe o da sterpagli stentati. Nessuno avrebbe osato frugare nel suolo vulcanico senza sbocchi, insensibile all’indagine degli spiti, ostile ai macchinari di esplorazione (anche ai raggi infrarossi), per essere ripieno di terriccio ammassato o di blocchi, sovrapposti a strato, dello stesso tufo genetico.
Cercate di seguirmi e comprenderete.

L.

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