Vecchio numero della storica collana “KKK Classici dell’Orrore” della EPI (Edizioni Periodici Italiani) diretta da Ennio Mancini.
La scheda di Uruk:
La città dei morti (Huacas Picchu) di Terence O’Neil [5 novembre 1969] Traduzione di Laura Toscano
– Inoltre contiene il racconto:
Violenza (continuazione), di Roland Greaves
La trama:
Una spedizione archeologica, sulle tracce di una nuova civiltà Incas, è sparita nel cuore dell’Amazzonia. Un diplomatico inglese viene misteriosamente in possesso del diario del viaggio, scritto da una delle componenti del gruppo, la bellissima nipote dei prof. Janovsky, archeologo di fama mondiale. L’inglese, assieme ad un suo amico giornalista si mette sulle tracce della spedizione, seguendo le indicazioni trascritte nel diario. Le incognite, le sofferenze, i drammi del piccolo gruppo disperso vengono così lentamente alla luce, con una ventata di orrore e di mistero. Dick e Willie cercano disperatamente di raggiungere la città sacra, la Città dei morti, dove la spedizione si è rifugiata. Ma gli ostacoli da superare vanno al di là della più ardita fantasia. Un incubo interminabile, crudele, dietro il quale si nasconde il mistero più fitto. Oltre un certo limite la vita non è più l’estrema salvezza. La speranza di sopravvivere viene sopraffatta dal desiderio di dimenticare, di non avere mai vissuto, perché l’orrore soffoca ogni cosa, come la foresta amazzonica nasconde per sempre tagli occhi dell’uomo il segreto della Città dei Morti.
L’incipit:
Il telefono squillò all’improvviso, rompendo con il suo petulante richiamo la pace ovattata e rarefatta di quella tiepida notte di primavera inoltrata.
Dick fu come colpito da una scarica elettrica. Non era fatto per i bruschi risvegli, soprattutto quando era reduce da una di quelle infernali sedute di redazione che si protraevano sino alle prime ore del mattino tra litigate furiose, grida, polemiche accese, bottiglie di scotch e tazze di caffè, in una atmosfera resa densa e quasi palpabile dal fumo di un numero inverosimile di sigarette.
Si era cacciato sotto le coperte da solo un paio d’ore ed aveva ancora tutta addosso la stanchezza ed il malumore per quello che era accaduto.
Gli bastò dare un’occhiata alla finestra per rendersi conto che il giorno non èra ancora spuntato.
Allungò una mano verso il ricevitore deciso a dirne quattro a quel rompiscatole, di chiunque si trattasse, fosse stato anche l’editore in persona.
— Pronto… — riuscì a mormorare a stento, con voce rauca.
— Pronto, Dick… — rispose una voce fresca, tranquilla, come se fosse stato mezzogiorno — Che facevi? Dormivi…
— Accidenti… chi è? Se dormivo?… Chi diavolo parla?…
— Ho capito, dormivi… — rispose la voce, imperturbabile. — Non è poi così presto… Sono le cinque e dieci minuti…
— Che ti venga un colpo… Le cinque e dieci minuti… — ripeté Dick con la voce in falsetto — Non è poi tanto presto…
— Sono Willie…
— E chi poteva essere? L’ho capito benissimo che sei Willie… Solo un pazzo come te si può far venire in testa di telefonarmi ad un’ora come questa? Cosa ti è successo?
— Niente di particolare… Volevo solo parlarti di una certa faccenda…
— Ah… volevi parlarmi di una certa faccenda…? — gridò Dick con voce alterata — Una cosettina così, senza importanza, immagino…?
— Be’… non so… Giudicherai tu… Secondo me potrebbe essere interessante anche per te… Da parte mia trovo che si tratta di una faccenda per lo meno curiosa…
— Una faccenda curiosa…? Senti, Willie… Se tu sei pazzo io non ne ho colpa e non intendo farne le spese, capito? Se ci tieni alla mia amicizia non ti fare venire mai più in mente di telefonarmi ad un’ora simile. Sono andato a letto alle tre dopo una giornata infernale, capito…? Non mi seccare… Ti saluto!
— Ehi… un momento… Intanto ormai sei sveglio… Vengo da te verso le otto, va bene?
— Bene un corno! Se ti fai vedere prima di mezzogiorno, quanto è vero Iddio ti pianto una pallottola in quella tua merdosissima testa… Lo giuro…
— Va bene… allora facciamo alle undici… Più tardi non è possibile perché poi ho un appuntamento da Tiffany al quale non posso mancare. Addio…
Riattaccò.
Dick lo avrebbe sbranato, se lo avesse avuto tra le mani. Si raggomitolò sotto le lenzuola, dopo aver staccato con rabbia la spina del telefono.
— Quell’accidenti di Willie… — mormorò, cercando di riaddormentarsi — Sempre lo stesso… Non è possibile…!
Era furente, ma in fondo sapeva che non c’era niente da fare. Willie Mansfield, giovane diplomatico inglese presso il consolato di New York era suo amico da troppo tempo ed era soprattutto troppo amico per non accettarlo così come era, con tutte le sue manie, le sue pignolerie e la sua imperturbabilità.
Per un attimo, prima di riaddormentarsi, si domandò cosa avesse da dirgli di tanto importante. Sì, perché anche se il suo abituale distacco dalle cose gli aveva fatto dire che si trattava di nient’altro che di una « faccenda curiosa », con ogni probabilità le cose stavano diversamente. Non era la prima volta che grazie a Willie riusciva a fare un colpo giornalistico di prim’ordine e, visto come stavano andando le cose in redazione, una notizia sensazionale sarebbe proprio stato il toccasana.
L.
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L’illustrazione di copertina è di Caroselli.
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Grazie dell’informazione.
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L’incipit funziona davvero bene!
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Sono chicche d’annata 😉
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