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Prima di darlo via schedo questo numero d’annata de Il Giallo Mondadori“.

L’illustrazione di copertina, come sempre, è firmata da Carlo Jacono.

La scheda di Uruk:

1320. Apri gli occhi, Dawlish! [Patrick Dawlish 23] (Death in Diamonds, 1961) di John Creasey [19 maggio 1974] Traduzione di Carla De Vigili
Inoltre contiene il racconto:
Un piano bell’e pronto (Blueprint for Murder, da “EQMM”, agosto 1973) di Dolores Hitchens

La trama:

Una misteriosa telefonata e un’altrettanto misteriosa richiesta di aiuto – un vero S.O.S. – fa precipitare Patrick Dawlish (nemico pubblico numero uno della malavita) in acque un po’ troppo burrascose anche per un nuotatore del suo calibro. Chiamato da un certo Ronald Alien il quale si dice preoccupato per una minaccia che incombe sulla sua fidanzata Janessa Langley, Dawlish interviene giusto in tempo per sventare un tentativo di ratto della ragazza. E questo è già un fatto strano, poiché non risulta che la famiglia Langley abbia mezzi tali da poter pagare un cospicuo riscatto. Quando, poi, il tentativo si ripete addirittura in casa Dawlish dove la ragazza si è rifugiata, l’investigatore si sente coinvolto personalmente e decide di andare sino in fondo, sia pure affiancando l’opera della polizia locale e di Scotland Yard. Naturalmente, come accade spessissimo, e come sentenzia un antico detto francese, «è il denaro che provoca la guerra», il denaro rappresentato, in questo caso, da una montagna di diamanti di cui qualcuno vuole impossessarsi a qualunque costo. Con una simile posta in gioco, si può dire che la vita di chi si trova coinvolto nella contesa, non vale un soldo. Eppure, la vita della dolce Felicity, la moglie di Pat Dawlish, viene valutata centomila sterline…

L’incipit:

— La verità è — affermò Patrick Dawlish — che sono malato.
— La verità è — replicò Felicity Dawlish — che mangi e bevi troppo.
— Che moglie devota!
Dawlish, grande e grosso che sembrava lo specchio della salute, guardò Felicity con irritazione. Lei era seduta davanti a una finestra aperta della loro casa di campagna, intenta a ricamare. Erano i primi giorni d’estate e, quella sera, i raggi del sole illuminavano i colori, rendendoli più vivi e brillanti. Davano anche a Felicity un tocco di bellezza, facendo risaltare le pagliuzze dorate dei suoi occhi grigio-verde. Felicity non era bella, nel senso comune della parola, ma aveva un fascino singolare, e il suo abito semplice, verde-scuro, rivelava il suo talento nello scegliere e portare i vestiti.
— Allora, mangio e bevo troppo, secondo te — brontolò Dawlish.
— Certo, e stai ingrassando.
— Questa è una calunnia! — Dawlish si appoggiò alla poltrona, allungò le gambe e cercò di far rientrare la pancia, senza però riuscirvi completamente. — Sono piatto come le tue torte meno riuscite.
— Alludi a quelle pesanti — replicò pacatamente Felicity.
— Ho deciso di consultare un medico — annunciò Dawlish.
— Sì, consultalo, tesoro, sarai molto più tranquillo quando saprai di non avere niente, ma scommetto dieci contro uno che non farai mai quello che ti dice.
— Che cosa te lo fa pensare?
— Il fatto che ti metterà a dieta.
— Se la dieta gioverà alla mia salute, allora la farò. — Prese una pipa che era sul tavolo, vicino a un boccale pieno di birra.
— Inoltre, fumi troppo — continuò Felicity.
— Fel, la mia pazienza ha un limite! — Il tono di Dawlish si era inasprito. Prese la pipa e incominciò, con nervosismo, a ficcarci dentro il tabacco.
La casa era chiamata Four Ways e si trovava alla periferia di Alum, un villaggio a pochi chilometri da Haslemere, nel Surrey. Sulle sconfinate colline si estendevano terre coltivabili, ma la maggioranza erano lasciate a prati e, alla chiara luce della sera, Dawlish vedeva pascolare il bestiame.
Felicity guardò il marito e lo vide imbronciato. Posò il lavoro e si mise a ridere.
— Molto divertente davvero — borbottò sarcastico Dawlish.
— Ma tesoro, non puoi aver niente di grave. Prendi la cosa troppo sul serio. Sei tanto abituato a sentirti in perfetta forma che il minimo mal di pancia ti fa pensare di essere vicino alla morte. Adesso, senti…
— Lo so, lo so, gli uomini fanno chiasso per un nonnulla e se dovessero sopportare la metà delle pene di una donna, si butterebbero sotto a un tram.
— Io non mi lamento — replicò Felicity.
— Ma tesoruccio, come potresti? Sei così paziente, così eroica, così abituata alla sofferenza…
— Ma Pat, non c’è bisogno di scaldarsi tanto.
— Scaldarsi? Non mi scaldo affatto.
— D’accordo, d’accordo.
— Ma devi proprio passare tutta la serata con quel lavoro in mano? Se non sono le mie calze, sono le tue, e se non sono le tue calze è qualche stupido ricamo che non è necessario fare e che finirà i suoi giorni inosservato su una sedia o sullo sgabello del pianoforte. Potresti comperare…
— Il tessuto ricamato a mano vale una fortuna — lo interruppe Felicity.

L.

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