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Prima di darlo via, schedo questo volume della storica collana “Grandi Tascabili Economici” (Newton Compton).

La scheda di Uruk:

288. La fine di Atlantide. Nuove luci su un’antica leggenda [SERIE ORO] (The End of Atlantis. New Light on an Old Legend, 1969), di John V(ictor) Luce [26 ottobre 1994] Traduzione di Celso Balducci

Presentazione della collana:

Un modo nuovo di intendere i tascabili. Volumi eleganti, curati nel contenuto e nella veste tipografica, di grande formato ma al prezzo più economico. Una collana per offrire al pubblico più vasto i grandi libri che non tramontano.

La trama:

Un’eruzione violentissima sconvolse nel quindicesimo secolo a.C. l’isola di Thera (Santorino), a 75 miglia a nord di Creta. Fu forse questo tragico evento a determinare la fine di Atlantide, narrata da Platone undici secoli dopo? Ed è poi realmente esistita l’isola di cui il filosofo scriveva, centro di un grande impero e di una civiltà straordinariamente progredita? E dov’era con precisione e perché scomparve? A queste e ad altre domande J.V. Luce risponde in questo volume svelando, grazie alla sua esperienza e alle sue ricerche, enigmi troppo a lungo insoluti.
Tutte le più recenti scoperte dell’archeologia, della sismologia e dell’oceanografia ci aiutano a capire il mistero della terra di Atlantide.

L’autore:

J.V. Luce, studioso di civiltà classiche è stato professore di lingua e letteratura greca all’università di Glasgow e di filologia classica al Trinity College di Dublino.

L’incipit della Prefazione:

I «redattori» di cui si parla appartenevano al periodico inglese Antiquity che, nel 1939, pubblicava un interessante articolo del professor Spyridon Marinatos, Direttore del Servizio Archeologico Greco, sulla «distruzione vulcanica della Creta minoica». Il professor Marinatos sosteneva, con l’appoggio di una notevole mole di prove, che la distruzione, di vastissima portata e da tutti riconosciuta, di Cnosso e della civiltà cretese, risalente grosso modo agli anni immediatamente successivi al 1500 a.C., era stata provocata da una violenta attività vulcanica nell’isola di Thera (Santorino), a circa 100 km a nord di Creta.
Attualmente, a 30 anni di distanza, il professor Marinatos conduce effettivamente degli scavi ad Akrotiri, in prossimità dell’estremo meridionale del gruppo di Thera, e ha ampliato un preesistente ritrovamento di mura minoiche (cretesi) ai piedi del vulcano, tanto che è lecito affermare che tali scoperte, in concomitanza con il grande spessore del materiale vulcanico sovrapposto alle rovine, convalidano in larga misura la sua tesi del 1939. Sembrerebbe che la sequenza di eventi distruttivi si sia aperta con un tremendo terremoto continuatosi sotto forma di due eruzioni, la seconda delle quali fu più grave, essendo sicuramente accompagnata da immense ondate. Tanto le scorie vulcaniche, quanto le ondate raggiunsero Creta, senza dubbio con altri terremoti, e la civiltà cretese fu praticamente cancellata dalla faccia della terra. Solamente Cnosso, relativamente riparata, poté in qualche modo sopravvivere, a quanto pare sotto la dominazione di alcuni profittatori di lingua greca, giunti dal continente.
E non è tutto. Questo episodio ha riportato alla luce dalle nebulose dicerie platoniche, e dalle moderne stramberie, l’antico Continente perduto di Atlantide. Già nel 1909 un giovane studioso pubblicava a Belfast una sua ardita ipotesi, secondo la quale il favoloso stato di Atlantide in realtà era il ricordo dello scintillante impero minoico che Sir Arthur Evans e altri esploratori cominciavano allora a rivelare al mondo. Ma, come ho detto, sarebbe toccato al professor Marinatos di conferire attualità a questa leggendaria distruzione e di fornire, dal 1967, grazie agli scavi, qualcuna delle prove essenziali, richieste nel 1939 dai suoi redattori. Anche altri hanno contribuito sostanzialmente alla ricostruzione del dramma: tra questi si distingue il sismologo greco professor Angelos Galanopoulos, che, oltre tutto, si è applicato, con competenza professionale, allo studio del forte terremoto di Thera del 1956, pervenendo, col sistema del carbonio radioattivo, alla datazione di materiali estratti dalle rovine scoperte in quell’occasione sotto a uno spesso strato di scorie vulcaniche. Chi in un modo chi nell’altro, i più autorevoli studiosi si stanno dimostrando sempre più inclini all’accoglimento di questo tipo di spiegazione razionale degli eventi. Il momento attuale sembra propizio alla raccolta e alla presentazione degli elementi del problema, così come ci appaiono alla fine del 1968; e appunto questo è stato fatto da Mr. J. V. Luce, dopo aver visitato i luoghi dove sono in corso i lavori, ricevendo il più generoso appoggio dallo stesso professor Marinatos.

Mortimer Wheeler

Dall’Introduzione:

Cinque campioni di sedimenti, provenienti dal fondo marino del Mediterraneo Orientale, sono bastati a catalizzare un vastissimo ritorno di interesse per la storia dell’Egeo nel quindicesimo secolo a.C. I campioni contengono cenere vulcanica dell’isola di Thera, cenere depositata su una zona assai ampia a opera di un’eruzione vulcanica di grande potenza esplosiva. Il materiale documentario è stato pubblicato nel 1965 in un’importante comunicazione di due scienziati americani: D. Ninkovich e B.C. Heezen. Questi, dopo aver definito la distribuzione della cenere, proseguono enunciando le conseguenze che le loro scoperte potranno avere sulla storia della tarda Età del Bronzo. In particolare, essi avanzano l’ipotesi che l’eruzione sia stata una catastrofe di immensa portata per l’impero insulare della Creta minoica, tale da comportare direttamente un trapasso di potere dai Minoici ai Greci del continente (Micenei). Fin dal 1939 il professor Marinatos aveva sostenuto che la Creta minoica fu distrutta da un’eruzione vulcanica e il lavoro di Ninkovich e Heezen ha contribuito ad avvalorare questa tesi con l’apporto di prove che non è lecito ignorare e che esigono la massima considerazione.
Tra gli scopi essenziali del mio lavoro si trova la presentazione di un quadro di Thera e della sua grande eruzione nell’Età del Bronzo, testimoniata da importanti dati di fatto venutisi fin qui accumulando. In linea generale, le conclusioni, cui sono pervenuto circa le conseguenze dell’eruzione sulla Creta minoica, concordano con quelle di Ninkovich e Heezen, con una sola eccezione importante: questi autori collocano la catastrofe intorno al 1400 a.C., laddove io propendo per il 1470 a.C. circa. Sono lieto di trovarmi, in questa retrodatazione, in accordo col professor Marinatos e anche con M.S.F. Hood, che, nel suo volume The Home of the Heroes, ha enunciato le conseguenze del disastro di Thera (pp. 104-6).

L’incipit:

CAPITOLO PRIMO
L’Atlantide secondo Platone

È a Platone che dobbiamo la leggenda di Atlantide, affascinante racconto su un’antica civiltà insulare, scomparsa in seguito a una grandiosa catastrofe naturale. Fin dal tempo in cui Platone fece conoscere agli uomini la sua storia, questi ne sono rimasti attratti e stupiti e hanno tentato o di vanificarla, riducendola al livello di fiaba, o di autenticarla localizzando i resti dell’isola perduta. Questi due tipi di reazione sono rintracciabili già al tempo della generazione che seguì alla morte di Platone. Aristotele traccia un parallelo tra il racconto di Atlantide e la descrizione, dataci da Omero, di un muro che i Greci avevano innalzato attorno all’accampamento davanti a Troia e che poi fu abbattuto per intervento divino. Per Aristotele entrambi i racconti sono fantasie poetiche escogitate dagli autori per agevolare la scorrevolezza della narrazione. Aristotele prosegue avanzando l’ipotesi che, come Omero aveva eliminato il muro dopo che questo aveva esaurito il suo scopo, Platone aveva inabissato Atlantide nelle profondità oceaniche per prevenire il critico che gli avrebbe potuto chiedere l’attuale ubicazione dell’isola. «L’uomo che l’ha sognata, l’ha anche fatta scomparire»; tale la sbrigativa soluzione del problema di Atlantide secondo Aristotele.
Ma il problema non si sarebbe risolto così facilmente e rapidamente. Il primo editore del
Timeo, Crantore (circa 300 a.C.), è andato all’estremo opposto, giungendo a ritenere che il racconto platonico dovesse essere, in tutti i suoi punti, autentico, parola per parola, sotto l’aspetto storico. Sembra che Crantore facesse addirittura condurre un’indagine in Egitto, per controllare le fonti della narrazione. I sacerdoti avrebbero risposto che il racconto si conservava tuttora «sui pilastri».
Sin da allora i modi di concepire l’Atlantide hanno oscillato fra questi due estremi. Nelle carte medievali, per esempio quella di Paolo dal Pozzo Toscanelli, pubblicata nel 1475 e usata da Colombo, i mari a occidente dell’Europa e dell’Africa sono costellati di isole grandi e piccole. Tra queste si trova Antillia (donde il nome delle Antille) che forse tramanda, in forma alterata, il nome dell’Atlantide platonica. I primi navigatori spagnoli e portoghesi erano ben disposti a credere nella possibilità di scoprire qualche rimasuglio dell’isola perduta e, tra i moventi delle loro esplorazioni, annoveriamo anche il fascino di tale ricerca. Più di un sol granello di verità è contenuto nell’epigramma di J.O. Thomson: «Si può dire in un certo senso che Platone ha inventato l’America». Addirittura nel 1882 Gladstone sollecitava (senza ottenerli) finanziamenti per una spedizione marittima alla ricerca di Atlantide.
Più scettici i cultori di antichità classiche. Un eminente studioso di Platone di epoca vittoriana, Benjamin Jowett, liquida l’Atlantide considerata pura fantasia. Identica opinione esprime F.M. Cornford nel suo commento al
Timeo. Secondo A.E. Taylor «l’intero racconto è un’invenzione dello stesso Platone». Per W.W. Hyde si tratta di «una favola geografica». Per T. G. Rosenmayer l’Atlantide è unaplaisanterìe destinata a parodiare alcune precedenti utopie.
Indiscutibile realtà o evidente fantasia? Si può dare un compromesso fra i due estremi? In questo libro si cerca di seguire la via di mezzo.

L’Indice:

Prefazione, di Mortimer Wheeler
LA FINE DI ATLANTIDE
Introduzione
Capitolo primo. L’Atlantide secondo Platone
– Atlantide: realtà o fantasia?
– L’elemento storico nei miti e nelle leggende greche
– Il breve resoconto su Atlantide nel Timeo di Platone
– Solone in Egitto
– Atteggiamento di Platone nei confronti della leggenda di Atlantide
– Riassunto del più lungo resoconto su Atlantide dal Crìzia di Platone
Capitolo secondo. Atlantide e la Creta minoica
– La collocazione atlantica di Atlantide
– L’ipotesi minoica
– La distruzione vulcanica della Creta minoica
Capitolo terzo. Thera e il suo vulcano
– Thera
– Cronologia dell’eruzione dell’Età del Bronzo
– Natura e intensità dell’eruzione di Thera: i dati di fatto del Krakatoa
– Dati di fatto forniti da campioni minerali del fondo marino
– Thera e il maremoto (tsunami)
– Effetti della ricaduta di ceneri
– Alcune conseguenze dell’eruzione di Thera
Capitolo quarto. Scavi a Thera
– I vecchi scavi
– I nuovi scavi
Capitolo quinto. Effetti a distanza di tempo e memorie dell’eruzione di Thera
– Crollo della potenza marittima minoica
– Quale fu la causa del crollo?
– Convergenza tra archeologia e tradizione a Keos
– La prova di Trianda
– Praisos e la tradizione dello spopolamento di Creta
– Le cronache egiziane e la catastrofe di Thera
– Il diluvio di Deucalione e antichi maremoti nella tradizione greca
– Gli Argonauti e Thera
– Isole galleggianti
– La sorte dei Feaci
– La «diaspora» minoica
Capitolo sesto. L’Atlantide rivisitata
Appendice
Riferimenti bibliografici
Indice dei nomi

L.

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