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Numero d’annata della collana “Segretissimo” (Mondadori), all’epoca della conduzione di Laura Grimaldi.

L’illustrazione di copertina è firmata da Carlo Jacono.

La scheda di Uruk:

405. Ma che spia, quel Mike Shayne! [Mike Shayne 60] (Six Seconds to Kill, 1970) di Brett Halliday [2 settembre 1971] Traduzione di Marco Criniti
Inoltre contiene:
Nostra intervista con Georges Simenon, di Giuseppe Bonura
Le spie sono tra noi (seconda parte) di Jean Bazal
Inoltre contiene il racconto:
L’evasione, di Giancarlo Albano

La trama:

Ma che spia, quel Mike Shayne! Investigatore privato di fama internazionale, adesso si trova invischiato in un fatto che vede coinvolta una bionda decisa ad ammazzare nientemeno che il ministro della giustizia americano. La bionda ha le sue ragioni, per volerlo fare: il ministro è arrivato al potere attraverso una politica senza esclusione di colpi, e quando era District Attorney ha fatto condannare un innocente per farsi pubblicità. L’innocente era il marito della bionda. Ma nonostante questo, la CIA e l’FBI non possono permettere che il ministro venga ucciso. E così, tengono d’occhio tutti i movimenti che potrebbero strumentalizzare l’odio della donna per fini loro. Mike Shayne, in questo labirinto di odi e di passioni, si muove molto meglio dei funzionari governativi. Lui la natura umana la conosce e la capisce, e per giunta ha «entrature» sue, alle quali attingere informazioni e consigli. Un romanzo di pura azione, di una freschezza sorprendente, nuovo sia come vicenda sia come conduzione.
Brett Halliday autore di gialli si afferma qui, per la prima volta, anche come validissimo autore di quel nuovo tipo di storie che stanno in bilico tra il suspense e l’intrigo politico e che sembrano rappresentare il filone più moderno della narrativa d’evasione.

L’incipit:

Furono serviti altri martini. Camilla Steele sfiorò il vetro appannato del bicchiere, con i polpastrelli. Ancora questo, e sarebbe andata nel pallone; e se lei avesse avuto l’accortezza di mettere qualcosa sotto i denti, c’era una buona possibilità di far passare alla bell’e meglio la serata, andare a dormire a un’ora decente e fare arrivare così la mattina successiva.
Sollevò il bicchiere e sorrise all’uomo che l’accompagnava. — Dovremmo pensare a ordinare la cena. Non subito, però.
Anche senza occhiali, nonostante la luce attenuata, lei era quasi sicura che il nome dell’uomo era Wally, o Joe. Negli ultimi tempi, le persone con le quali era uscita la sera, avevano la peculiarità di sembrare fatte in serie. Indossavano lo stesso genere di vestiti, avevano le stesse abitudini, e tutti, per qualche ragione, prediligevano i sigari di gran marca.
L’uomo soffiò un pennacchio di fumo. Era Wally, con ogni probabilità. Si interessava di beni immobili, non che questo avesse importanza. Era del genere migliore: non faceva mai domande, e non si interessava di niente che fosse successo prima di una settimana.
— Camilla, sei la donna più affascinante di Miami Beach.
Lei mormorò qualcosa. I complimenti non l’interessavano ma le dispiaceva dover ammettere a se stessa che questo era per lo meno di dubbia attendibilità. Indossava un abito bianco da cocktail, dalla scollatura vertiginosa. Con il trucco ancora in ordine e i lunghi capelli biondi, doveva avere un aspetto gradevole, in quel momento, ma l’utilità dei locali semibui stava proprio qui. Lei era troppo magra. Se si fosse dilettata di questo genere di aritmetica, avrebbe potuto trascorrere il suo tempo libero a contarsi le costole. Aveva trent’anni. Alla luce del sole, ne dimostrava quaranta.
– Ho una proposta — disse Wally. — E l’esperienza mi insegna che il momento più opportuno per tirare fuori le notizie sorprendenti è quello fra il secondo e il terzo martini. La proposta sarebbe questa: noi dobbiamo sposarci.
La faccia di lui acquistò i lineamenti, all’improvviso. Occhi neri, capelli neri e basette, sorriso fissato in permanenza alle labbra. Non era Wally, e neppure Joe. Era Paul London, dannazione, il che voleva dire un’altra notte agitata.

L.

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